mercoledì 10 ottobre 2012

Foscolo e Leopardi



Al percorso di liberazione e di unificazione dell’Italia non contribuirono soltanto uomini politici e generali (Mazzini, Garibaldi, Cavour), ma anche poeti e scrittori, che propagandarono il diritto per gli italiani di avere uno stato nazionale come gli altri popoli d’Europa. Il primo fu Ugo Foscolo. 

Ugo Foscolo: vita e opere
Ugo Foscolo nasce a Zante, un’isola greca sotto il dominio di Venezia, alla fine del ‘700. Dopo la morte del padre si trasferisce a Venezia, dove completa la sua istruzione ed entra in contatto con intellettuali aperti alle idee della rivoluzione francese.
Deluso dal trattato di Campoformio del 1797, con il quale Napoleone cede Venezia all’Austria, Foscolo sceglie l’esilio volontario, recandosi prima a Milano e poi a Bologna. Dopo la sconfitta di Napoleone, decide di lasciare definitivamente l’Italia, rifugiandosi prima in Svizzera, poi in Inghilterra, dove vive in condizioni di miseria, assistito dalla figlia Floriana. Muore a Londra nel 1827; le sue ossa verranno trasferite a Firenze nella chiesa di Santa Croce.
Le opere più importanti di Foscolo sono: “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, i “Sonetti” e i “Sepolcri”.

Le ultime lettere di Jacopo Ortis
Il romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” si ispira alla doppia delusione di Foscolo: l’amore per Isabella Roncioni e la delusione riguardo al trattato di Campoformio.
Jacopo Ortis, dopo aver assistito al sacrificio della sua patria Venezia da parte di Napoleone, si ritira sui colli Euganei, dove vive in solitudine scrivendo al suo amico Lorenzo Alderani. Jacopo si innamora di Teresa, ma il loro amore è reso impossibile dal padre di Teresa, che la promessa sposa a Odoardo. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile diventa sempre più grande; ai primi di dicembre si reca a Padova, dove riprende l’università. Dopo poco tempo però ritorna da Teresa e ricominciano i dolci colloqui con lei. Jacopo e Teresa si baceranno una sola e ultima volta.
Dopo una breve malattia scrive una lettera d’addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara e si sente sempre più infelice e disperato. Quando viene a sapere che Teresa si è sposata, sente che per lui la vita non ha più un senso. Dopo aver scritto l’ultima lettera al suo amico Lorenzo, si uccide con una pugnalata al cuore.

In morte del fratello Giovanni
Foscolo in questa poesia si lamenta con il fratello, morto suicida per debiti di gioco, per tutte le delusioni della sua vita, e di non poter andare a piangere sulla sua tomba perché è in esilio. E quindi sulla tomba ci sarebbe stata solo la madre.
Gli dice che sente lo stesso dolore e le stesse angosce che sentiva anche lui; vorrebbe anche lui morire e raggiungerlo, e che almeno il suo corpo senza vita venisse riportato in patria e restituito a sua madre.

Alla sera
Foscolo scrive che la sera è la parte della giornata che preferisce perché gli ricorda la morte e il sonno eterno. Sia d’estate sia d’inverno o in primavera, il suo momento preferito rimane sempre la sera: quando arriva gli toglie tutte le preoccupazioni del suo cuore.
Il pensiero della morte, infatti, lo consola, perché solo in questo modo potrebbe mettere fine a tutte le sue angosce e solo alla sera il suo spirito può ritrovare un po’ di pace.

Giacomo Leopardi: vita e opere
Nasce nel 1798 a Recanati, una piccola città delle Marche, da una famiglia aristocratica, ma non ricca. Mostra fin da piccolo uno straordinario interesse per gli studi che lo spinge a trascorrere il tempo nella vasta biblioteca del padre Monaldo, e inizia a comporre testi poetici e saggi.
Dopo un periodo di conflitti con il padre, nel 1822 Leopardi parte per Roma. Poi si reca a Firenze, dove conosce molti intellettuali, tra cui Manzoni. Nel 1829 rientra nella sua città d’origine per motivi di salute.
L’anno successivo torna a Firenze,stringe amicizia con Antonio Ranieri, col quale nel 1833 si trasferisce nei pressi di Napoli, in cerca di un clima più salutare. Qui muore nel 1837.

La sera del dì di festa
Leopardi torna a casa dopo una festa e comincia ad osservare il panorama notturno con la luna che illumina tetti e montagne: è una sera tranquilla, non c’è più nessuno per strada, è tutto buio tranne qualche debole luce di poche lampade ancora accese; e Leopardi immagina di parlare ad una donna di cui è innamorato. La donna, che gli ha aperto una ferita nel cuore, ora dorme serena e inconsapevole; il poeta invece si tormenta. La natura secondo lui sembra benigna, ma non lo è. Certamente non lo è stata con lui, che vuole solo far soffrire e piangere, avendogli tolta anche l’unica speranza che concede generalmente agli uomini: la felice incoscienza della giovinezza.

L’infinito
Leopardi di notte si reca su un colle e si siede di fronte a una siepe che gli copre la parte più bassa dell’orizzonte, lasciandogli vedere solo la volta stellata. Egli osserva l’universo silenzioso e riflette sul fatto che secondo lui non esiste un dio buono che ci protegge dall’alto, ma solo una natura indifferente al nostro destino.
Leopardi da un lato è spaventato da questo silenzio universale e sovrumano, e paragona gli uomini alle foglie di un albero d’autunno agitate dal vento; ma dall’altro lato trova consolazione nel fatto che i suoi problemi personali ora gli sembrano un nulla rispetto al “mare” infinito dell’universo.


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