domenica 24 marzo 2013

Il genocidio nazista degli ebrei


Durante la seconda guerra mondiale morirono 50 milioni di persone, e tra queste ci furono 6 milioni di ebrei, che morirono nei “Lager” di Hitler. Non ci sono parole per descrivere questa strage, ma soprattutto non ci sono motivi validi, come si può spiegare tutto ciò? Come si può giustificare la morte di bambine e donne senza colpa?
Probabilmente l’odio proveniva dalla loro religione, ma soprattutto dalla loro ricchezza. Ma il principale motivo era la teoria razzista di Hitler, che considerava  i tedeschi una razza superiore.
L’antisemitismo non è stato inventato da Hitler, ma esisteva già dal medioevo: infatti in Russia si scatenavano molti “Pogrom”, vere e proprie cacce all’ebreo; in più gli ebrei dovevano vivere nei “Ghetti” e venivano considerati un popolo deicida.

Sui Pogrom abbiamo letto alcuni brani tratti da un romanzo intitolato “I cani e i lupi” di Irene Nemirovsky. La protagonista di questo romanzo è una bambina di nome Ada che vive nel Ghetto di Kiev, che si trova in Ucraina. La vita nel ghetto scorre tranquilla, ma come sulle pendici di un vulcano quiescente, col pericolo dello scatenarsi di un Pogrom.
L’arrivo di un esercito di cosacchi fa capire che sta per arrivare un Pogrom. Le prime avvisaglie sono i vetri rotti dalle pietre. Ada, che non capisce cosa succede, viene fatta dormire semivestita per essere pronta alla fuga.
Una sera Ada e suo cugino Ben vengono rinchiusi in soffitta dal nonno perché fuori sta succedendo un finimondo. Le case degli ebrei vengono distrutte e depredate.
Ada e Ben, nella soffitta, trovano un baule, lo svuotano e si mettono dentro e per dimenticare le urla si mettono a giocare ai pirati, poi la mattina si addormentano.
La Zia di Ada, siccome il Pogrom non è finito, fa accompagnare i bambini da una serva in un posto più sicuro. Attraversando il Ghetto Ada e Ben incontrano un gruppo di cosacchi e allora scappano perdendo di vista la serva. Arrivati su una collina fuori dal Ghetto Ada si ricorda dove abita il suo ricco cugino e decidono di andare da loro finché il Pogrom non sarà finito. Entrati nella villa rimangono stupefatti di fronte a tanto lusso, ma soprattutto Harry, il cuginetto, rimane esterrefatto di fronte ad Ada  e Ben, sporchi e laceri.
La mamma di Harry caccia un urlo perché ha paura che portino malattie, allora dice alla serva di dar loro da mangiare in cucina.
Il vecchio capo famiglia, consapevole di essere parente dei ragazzi, li porta nel suo studio e poi si fa raccontare tutta la storia. Ada era talmente stanca che crolla in un sonno profondo che dura 24 ore.

Quando la Germania invade l’ URSS nel 1942, i nazisti cominciarono a catturare e ad internare gli ebrei nei campi di sterminio. Molti russi antisemiti collaborarono attivamente con le SS naziste.
A questo proposito abbiamo visto un film intitolato “Ogni cosa è illuminata”.
 Il protagonista, anzi uno dei protagonisti del film è Jonathan Foer, un ragazzo ebreo americano che ama collezionare oggetti di ogni tipo e per questo viene chiamato il collezionista. Il nonno morendo gli lascia  un ciondolo d’ambra appartenuto alla sua prima moglie sposata in Ucraina: Agostina. Anche la nonna, prima di morire, lascia una foto a Jonathan che ritrae suo nonno e Agostina a Trachimbrod.
Jonathan decide di andare in Ucraina a cercare il villaggio del nonno e si affida a una strana agenzia di viaggi per ricchi ebrei americani, specializzata nel ritrovare i loro vecchi parenti. L’autista è un  matto che dice di essere cieco e che continua ad avere disprezzo verso gli ebrei. Fa da interprete, in un inglese approssimativo, un giovane ballerino di nome Alex, nipote dell’autista. Saliti sul taxi lasciano la città alla ricerca del villaggio di campagna del nonno di Jonathan. Il ragazzo mostra al vecchio autista la foto del nonno con Agostina, e lui sembra quasi riconoscerli.
Dopo aver passato la notte in albergo, Jonathan e Alex e suo nonno si perdono e iniziano a girovagare chiedendo informazioni, purtroppo insufficienti. Il nonno, guardando la luna e il paesaggio, inizia a ricordarsi di quei luoghi, infatti trova un posto dove ci sono rottami della guerra e lì comincia a ricordare una fucilazione.
Camminando trovano una casa immersa in un campo di girasoli. In questa casa vive una signora, sorella di Agostina, Alex si ricorda di avere in tasca la foto del nonno di Jonathan e da lì la donna inizia a raccontare la storia di Trachimbrod e dei suoi ricordi.
La donna accompagna Jonathan , il vecchio e Alex al villaggio di cui è rimasta solo una lapide. La donna racconta che Agostina, pur essendo incinta, venne uccisa perché il papà si rifiutava di sputare sulla Torah. L’autista, allora, ricorda che si chiamava Baruch e che era un ebreo del villaggio. Era stato fucilato, però si era salvato perché era stato colpito di striscio alla testa e aveva avuto un’amnesia totale.
Alla fine, il nonno ritrova la sua identità ma decide di suicidarsi. Jonathan invece torna in America con l’anello di Agostina.

Una testimone di questa strage è la signora Susanna Raveh, che è stata rinchiusa in un campo di lavoro insieme ai suoi genitori. Aveva solo quattro anni, ma anche se piccola, Susanna è stata presa dai tedeschi e portata verso un camion usato per il bestiame. 

Questa donna, anzi questa “nonna bambina” sempre sorridente non perdeva mai l’allegria, anzi cercava di rallegrare chiunque intorno a sé  con i suoi balli e con la sua risata contagiosa. Ogni giorno gli adulti andavano a lavorare e se trovavano un bottoncino, un nastrino o altro ancora sapevano già a chi regalarlo: quella piccolina, senza amici della sua età che si accontentava di qualunque cosa. Un giorno però, la sua vita sarebbe cambiata: quegli omoni biondi con gli stivaloni neri l’avrebbero portata in un posto dal quale non era più ritornato nessuno. Però uno di questi omoni chiamò la piccolina, dicendogli di correre via dai suoi genitori: Susanna pensò che anche l’omone biondo aveva una figlia, magari della sua stessa età, che dormiva nel suo lettino tranquilla. Così la piccolina non perse nemmeno un attimo e corse dalla sua mamma. Qualche giorno dopo, arrivarono altri tedeschi che presero la famiglia Raveh e la portarono in un altro campo di lavoro, e poi un altro ancora. Ma un giorno la famiglia fu libera.

Poco dopo, ci fu una fiera e Susanna ci andò con i genitori. Camminando per la strada la bambina notò qualcosa: un lecca-lecca a forma di gallo: la bambina appena lo vide, lo raccolse da terra e se lo mise in bocca. Purtroppo Susanna si prese il tifo, una malattia allo stomaco. Così  venne curata da un signore mandato dai suoi genitori, lei si fidò subito e lui la prese e la portò con sé in casa sua. Dopo essere tornata a casa dai suoi genitori arrivò anche la mamma dopo qualche mese. Successero tante cose, tante. Susanna, un nome una storia. Una “nonna bambina” sempre sorridente, anche ora che è donna. Una donna che non riesce ad odiare una nazione intera anche dopo tutto quello che ha subito. 

Durante la guerra la popolazione civile visse in condizioni molto difficili: il cibo venne razionato e perciò si sviluppò il mercato nero; i bombardamenti colpirono le grandi città, provocando milioni di morti; nei paesi invasi dai tedeschi molti uomini vennero inviati a lavorare in Germania, ma si sviluppò anche un forte movimento di resistenza: i partigiani si dedicarono alla lotta armata, colpendo obiettivi militari; altri organizzarono scioperi, manifestazioni ed azioni non violente contro chi occupava i territori. I tedeschi reagirono uccidendo i partigiani e la popolazione delle zone in cui essi agivano. Nei territori occupati i tedeschi avviarono lo sterminio degli ebrei: alcuni vennero mandati nei lager, altri rinchiusi nei ghetti, dove mancava il cibo. Nei territori occupati dai tedeschi gli oppositori e coloro che erano considerati razze inferiori o comunque da eliminare venivano inviati nei lager, dove chi non era in grado di lavorare veniva subito ucciso, mentre gli altri lavoravano per le industrie tedesche. Milioni di persone furono così assassinate dai nazisti. 



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